sabato 18 maggio 2019

La resistenza del maschio - Elisabetta Bucciarelli

Il mio ritorno dal Salone del Libro di Torino è stato corredato dall'acquisto di numerosi libri. Tra questi, un titolo che mi ha colpito particolarmente e mi ha spronato ad aprire il portafoglio in tempi rapidi, è stato La resistenza del maschio di Elisabetta Bucciarelli, per Enne Enne Editore, collana ViceVersa.

Trama: L'Uomo ha una vita di successo, moglie, lavoro, casa. Non vuole figli e non vuole solo sesso. Cerca in ogni circostanza misura e proporzioni. Una notte assiste a un incidente: una donna si schianta contro un palo della luce. L'immagine di lei, simile a un quadro preraffaellita, diventa un'ossessione. Intanto nella sala d'aspetto di uno studio medico tre donne attendono il loro turno. Parlano di uomini, sicure di essere alle prese con un nuovo tipo di maschio, quello che resiste, che si nega e non si concede. Al di là della volontà di ciascun personaggio, qualcosa sta per accadere: "La resistenza del maschio" illumina una nuova forma di lussuria, che qui trova la sua ultima metamorfosi.



Recensione: La resistenza del maschio è un gioco di specchi su due piani intrecciati. Da un lato, tre donne s'incontrano nello studio di un medico ritardatario dove, per sublimare l'attesa, cominciano a parlare degli uomini della loro vita; dall'altro, la storia dell'Uomo che diviene alternativamente Emme e Marito, a seconda della persona con cui si rapporta.
La narrazione è alternata, a volte addirittura intramezzata, senza seguire una logica di capitolo. Le scene sono montate in tanti piccoli pezzi in successione, in uno spostamento continuo tra piani che oscillano tra la spersonalizzazione dei capitoli sull'Uomo, dove nessuno è dotato di un nome, alla realtà più tangibile e corposa delle tre donne - Chiara, Silvia, Marta... donne reali, tangibili, nominali.
In un crescendo di riflessioni, Elisabetta Bucciarelli trascina il lettore da uno spazio, un ambiente misurato, dove l'istante e la permanenza in esso scatenano il susseguirsi delle vicende in una sequenza statica, quasi fotografica (lo spazio dell'Uomo), a un altro che, per quanto immobile nel progredire della storia, risulta dinamico, attivo, progressivo e privo dei confini che definiscono strade (quello delle tre donne).
E il fulcro de La resistenza del maschio trova proprio nella spazialità e nel diverso modo di percepire il divenire del mondo il suo massimo compimento: lo spazio è il vero protagonista, nonché motore primo della storia. Quali sono gli spazi che occupiamo nella vita di una persona? Quanti e quali spazi abbiamo abbandonato, per caso, costrizione o volontà, nel corso della nostra esistenza?
Questi interrogativi trovano spazio, ma non risposta, all'interno della scrittura fluida e puntuale di Bucciarelli che, senza veli, ci propone un ritratto della società odierna e dell'eterno conflitto tra maschi e femmine. Spoglia la dicotomia di genere dai suoi stereotipi proprio calcando su questi; li denuda della loro prevedibilità e ne mostra il nucleo centrale: uomini e donne sono profondamente diversi, sì, ma anche incredibilmente uguali. L'unica, vera, sostanziale differenza è lo spazio che occupano e come lo occupano: in cerca di un percorso (evanescente, sconfinato, costruttivo) le donne, retti sulle strade (sicure, prevedibili, tradizionali) gli uomini. Ed è così che La resistenza del maschio mostra al suo lettore una nuova figura dell'Uomo: un uomo passivo, che si lascia trascinare dagli eventi, che diviene attivo solo tramite la negazione del sé. Un Uomo che, per tutto il libro, non ha un nome, che rimane senza volto rispetto alle donne, forti di un'identità, dei loro sogni, delle loro certezze.
Il nome, infatti, è il punto di partenza: tutti e tutto sono provvisti di un nome. Nominare qualcosa significa riconoscerne l'esistenza, definirla, circostanziarla in uno spazio; l'atto stesso di dare un nome alle cose implica il comprenderne, però, anche l'essenza e, quindi, la conoscenza. Nominare è consapevolezza non solo dello spazio, ma anche del concetto stesso dell'essente.
Attribuire uno spazio all'esistente, quindi, uno spazio che per le donne di Bucciarelli è ben chiaro, nel suo essere possibilità: Chiara, Silvia e Marta chiamano le cose con il loro nome, le appellano, le riconoscono. Ne sono tragicamente consapevoli e, in questa presa di coscienza, sono "vittime" della contrapposizione con l'Uomo, il maschio che attribuisce allo spazio solo una dimensione matematica. L'Uomo rifiuta i nomi, li ripudia. Chiama sé Emme, la donna che corteggia Effe; si cela dietro la maschera dell'indefinito per esprimere la propria finitezza di individuo carnale, egoista e approfittatore, per nobilitarsi agli occhi femminili e, soprattutto, ai propri.
Rifiutando la propria identità, la riconquista con l'illusione del possibile; cerca uno spazio, un istante di esistente, ma non vuole il tempo. Il tempo, dice, è una dimensione che non gli piace, non la comprende, gli crea paura e ansia. Perché?
Perché il tempo, rispetto alla permanenza del maschio di Bucciarelli, è possibilità. E la possibilità, la prospettiva, nel libro, appartiene alle donne. Il tempo richiede un futuro e un passato, richiede costruttività, non persistenza. Ed è al costruire stesso che l'Uomo si oppone, perché costruire è incertezza, è scegliere un percorso e non una strada. Il maschio resiste al divenire e, nella sua resistenza, riduce le donne da nomi a voci, trasmutandole nella propria non-esistenza, proprio nel punto sul foglio in cui i due piani (maschile e femminile) s'incontrano in una prospettiva distorta in cui non possono definirsi se non in funzione dell'altro.

Dove acquistarlo:

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mercoledì 15 maggio 2019

La vincita - Ida Ferrari

Non ho una passione per i gialli e i noir, anzi, sono decisamente poco nelle mie corde. Tuttavia, mi è capitato per una serie di coincidenze, di approcciarmi a La vincita di Ida Ferrari, edito da golem Edizioni.
Durante un viaggio in treno ho divorato dalla prima all'ultima pagina, quindi eccomi qua con la recensione di rito.

Trama: Jacob e Klara sono amanti. Lui è italiano nonostante il nome, dirigente in una compagnia di Leasing; lei è una giovane ucraina che scompare il giorno dopo l'Epifania. Jacob subisce un incidente in montagna con la famiglia e non si accorge subito dell'sms di Klara. Dopo qualche giorno recupera il cellulare e può leggere il testo del messaggio: A 807346 t.p. Jacob si rivolge a un'agenzia investigativa, diretta da Simona Fontana, una ex anoressica con strascichi irrisolti. Simona, insieme al socio Paolo e a un genio dell'informatica, detto Neo, si troverà coinvolta in una corsa contro il tempo per scoprire che fine ha fatto Klara e cosa nasconde l'ambiguo mondo che la circonda; il tutto a rischio della sua stessa vita.



Recensione: La vincita si apre con un incidente, che segna l'incipit della storia. Come in un delirante effetto butterfly, andando avanti con la lettura, il lettore si trova a porsi un mucchio di interrogativi: se non ci fosse stato, le cose sarebbero andate diversamente? Se quel camion non avesse cozzato contro la macchina di Jacob, Klara sarebbe comunque scomparsa? Le risposte ci vengono date nel testo, perché Ida Ferrari non lascia spazio al suo lettore, bensì lo incatena al dipanarsi degli eventi senza concedergli una via di fuga, né possibilità di elucubrazioni.
Con un ritmo narrativo serrato, a tratti molto secco, e un uso delle parole misurato, violento nel loro raggiungere la mente del lettore, guida verso la logica, insospettabile conclusione.
Tuttavia, ne La vincita, c'è più di un semplice giallo: ci sono storie che si intrecciano, personaggi in grado di far affezionare il lettore e immagini vivide di una Milano notturna, nebbiosa e stantia nel suo grigiore.
Il testo presenta diversi livelli di lettura: dall'aspetto puro dell'indagine, alle vicende personali dei suoi protagonisti, fino a giungere agli intrighi internazionali e alle questioni, forse più banali ma egualmente ben trattate, sentimentali che s'intrecciano con il resto. Ida Ferrari riesce a mantenere viva l'attenzione sui molteplici piani, senza mai lasciarsi sfuggire una parola di troppo, o un dettaglio di meno, richiamando alla memoria di lettori appassionati del genere (ma anche di chi non lo è, come me) le note e l'ispirazione di grandi giallisti come G. Simenon e Agatha Christie.
Inoltre, l'autrice ci regala un'investigatrice tutta al femminile meravigliosamente tratteggiata, libera sia dallo stereotipo della principessa da salvare e sia da quello della guerriera senza macchia e senza paura che la letteratura contemporanea cerca di proporci. Abbiamo, in Simona, l'immagine di una donna vera: non è infallibile, non è onnisciente, ma non è neanche passiva di fronte alle difficoltà che le si pongono davanti. Soffre, ama, combatte, s'arrende come qualsiasi persona, uscendo dagli schemi narrativi che la vogliono o principessa, o virago.
E sono proprio le donne di Ida Ferrari che colpiscono in questo viaggio narrativo, che eclissano quasi completamente i personaggi maschili (per altro, tratteggiati a meraviglia), ma lo fanno con discrezione, senza risultare invadenti o soverchianti. Abbiamo donne di ogni genere: che si nascondono, che si amano tra loro alla luce del sole, che tradiscono, che vengono tradite; donne forti, donne deboli, donne violente, donne accoglienti... tutte cariche di sfaccettature che impediscono loro di essere semplici macchiette o personaggi sullo sfondo.
Forse è proprio questo saltare all'occhio, questa rappresentazione di una femminilità reale e non stereotipata che colpisce de La vincita; una femminilità che non si piega alla storia (per quanto essa sia intrigante), che non risulta fastidiosa, irritante o ripetitiva, ma che si mostra nel suo realismo e totalità.
Un libro consigliato a tutti gli amanti del giallo, a chi non ama il colpo di scena a ogni coso, ma preferisce gustarsi la sensazione di suspance e inquietudine che permea ogni pagina, a chi preferisce approcciarsi a un testo che parla di vita, invece che di morte.

Per acquistarlo: