venerdì 1 febbraio 2019

Le figlie delle Amazzoni. Un incontro può cambiare la vita - Maria Mezzatesta.

A Natale ho fatto una lunga spesa di libri di autori emergenti. Nello scegliere quale leggere per primo, ho optato per Le figlie delle Amazzoni di Maria Mezzatesta; non so se sia stato il mio amore per la fantascienza a guidarmi nella scelta di dargli la precedenza, o se il mito delle Amazzoni abbia rievocato in me quella passione adolescenziale per le donne guerriere... probabilmente la combinazione di questi fattori, però, ha fatto sì che mi approcciassi al testo con una carica - e un'aspettativa - in più.
A onor del vero, ho trovato molto difficile dare un parere su questo libro. Oggettivamente è ben fatto, scritto in maniera fluida (parte alcuni refusi che - ahimè! - scappano sempre e alcuni passaggi con troppe ripetizioni) e con quello stile di fantascienza Asimoviana che mi fa impazzire, ma a tratti la lettura è risultata pesante e ho faticato per arrivare alla conclusione. Ciò nonostante, è un buon libro e il mio non apprezzamento completo dipende solo da un mero gusto personale, quindi cercherò di dare un'opinione il più oggettiva possibile.


TRAMA: Sistema solare Alpha Centaury, A.D. 2452. La Queen of the Stars viaggia tra i pianeti Iber e Chirone al commando della giovane Sewen Riw. Lungo la rotta, scompare Eugel, il migliore dei cyborg del questore Nwabudike Xotyr, ansioso di avviare lo sfruttamento minerario del territorio. Per il questore non c’è dubbio, autrici del misfatto sono le Amazzoni, una società utopica di sole donne che coltivano e difendono strenuamente la libertà e l’indipendenza che le comunità di origine non gli garantivano. Incantata dal racconto del questore, Sewen si sente visceralmente attratta da quella singolare società, sospesa tra mito e realtà: perché rapire l’androide Eugel? Quale segreto si nasconde dietro al mito delle Amazzoni?


Le figlie delle amazzoni: Un incontro può cambiare la vita di [Mezzatesta, Maria]


Recensione: Come accennato, Le figlie delle Amazzoni è un romanzo di fantascienza. Non quella fatta di grandi guerre spaziali, di alieni invasori o concupiscenti che forma la narrativa di genere attuale. No, parlo della fantascienza bella, quella che prende la storia dell'umanità e la trasporta tra le stelle e nello spazio infinito del cosmo, che pone l'essere umano come esploratore, viaggiatore, scopritore di nuove terre, senza però nascondere le sue brame di conquista, né la sua avidità.
Da questo punto di vista, l'autrice permette a tutti i lettori di tuffarsi a piene mani in una fantascienza un po' nostalgica, che ricorda le opere di papà Asimov, e al tempo stesso moderna per le tematiche; analizza, infatti, ben tre punti focali della società odierna: l'ecologia, la questione di genere e l'abuso delle tecnologie.
Anche la trama risulta "vecchio stampo", sempre come nella migliore tradizione asimoviana, abbiamo infatti un giallo intergalattico su cui la protagonista si trova a indagare, per poi scoprire che dietro al semplice furto di un cyborg c'è molto di più: equilibri politici, interessi economici e, soprattutto, la sua storia personale. Difatti, Sewen si trova ad affrontare un viaggio in se stessa, alla scoperta non solo delle proprie radici ma di quelle di tante donne che, come lei, nutrivano il sogno di essere libere, padrone del proprio destino... umane.
È proprio di quest'umanità che, tra le righe, ci parla Maria Mezzatesta; di un'umanità perduta che non dà il peso all'anima, che non coltiva le proprie radici con la natura, che pensa che per vivere per sempre basta riversare il contenuto del proprio cervello in un simulacro robotico, o che si affida a una fede cieca e avara - in un'entità superiore, nella tecnologia, nel denaro... -; di un'umanità dimentica del proprio valore e della propria essenza, rappresentata dalla Terra stessa, pianeta-sanguisuga che per sopravvivere succhia risorse indiscriminatamente ad altri pianeti, alterandone l'ecosistema.
In questo universo e in quest'umanità aliena a se stessa, spicca la società di Amazzonis, sul pianeta Chirone; una società composta all'80% da donne, discendenti dell'equipaggio femminile di una nave in fuga dalla Terra, il cui obiettivo è mantenere l'equilibrio tra le proprie tradizioni, la tecnologia, la propria indipendenza e l'ambiente in cui vivono. E sono proprio loro, le amazzoni, a condurre dietro le quinte la protagonista, Sewen, nel suo tragitto verso la consapevolezza di ciò che la circonda, a portarla ad apprezzare le gioie di un ritmo lento, meno frenetico rispetto al pianeta in cui vive... un ritmo umano, quasi antico nel suo dilatarsi.
Tutto contribuisce a portare il lettore in uno stato di sospensione, come la protagonista: gli eventi scorrono, ma si resta rapiti dai paesaggi, dai tramonti, dalle strane razze autoctone dei pianeti visitati; ogni qual volta Sewen si ferma, si "sospende" nel suo muoversi frenetico, il lettore si ferma con lei, in una forma di strana contemplazione dell'ambiente che la circonda.
Da questo punto di vista, Le figlie delle Amazzoni svolge bene il compito che si è prefisso: le immagini sono nitide, ben delineate con pochi tocchi e senza descrizioni eccessive. Tuttavia, questo senso di dilatazione del tempo si perde man mano che ci si avvicina ai capitoli finali; è come se il libro fosse diviso in due parti: la prima, introduttiva ma molto avvincente, ci catapulta in queste atmosfere quasi oniriche e fiabesche, la trama scorre con il ritmo giusto e vengono poste tutte le basi per affrontare i temi sopracitati (ecologia, questione di genere, abuso delle tecnologie); la seconda, invece, è più frettolosa, frenetica. Abbiamo ancora degli spazi di dilatazione, ma sono più ridotti, fino a un finale che definirei molto affrettato; proprio nel momento più importante per Sewen, si spezza l'empatia con lei e non si riesce ad assimilare la rivelazione finale che costituisce il cuore del libro. Similmente, alcune questioni vengono lasciate in sospeso, o chiarite in una sorta di dialogo/spiegazione più a usufrutto del lettore che della trama stessa. Questo accade con la faccenda dei simulacri, su cui verte l'interrogativo: si perde qualcosa a trasferire la propria mente in un corpo robotico? La risposta è sospesa e intuibile, ma poi viene accantonata e messa da parte, senza alcuna riflessione in merito da parte né della protagonista, né di terzi (complice anche il finale troppo rapido). Il che è un peccato, perché con un paio di capitoli in più questo libro avrebbe potuto dare davvero molto, ma risente dell'effetto di "troppa carne al fuoco"; i temi affrontati non sono semplici e alle volte sembra che ci si calchi troppo di proposito, con un uso di infodump davvero eccessivo. Per esempio, viene ripetuto molto spesso che le donne sulla Terra venivano e vengono maltrattate. Lecito, ma ritornare così tanto di frequente sullo stesso punto, con frasi più o meno simili, come se i personaggi avessero lo stesso copione da recitare, risulta troppo ridondante e crea un effetto déjà-vu che spezza la tensione narrativa.
In conclusione, Le figlie delle Amazzoni svolge il suo lavoro: intrattiene e lascia alcuni interrogativi aperti in modo che il lettore possa continuare ad arrovellarsi su quanto trattato. Non mira a dare soluzioni, quanto a portare a riflettere su quanto vissuto dalla protagonista stessa e a cercare in noi stessi la verità. Una verità che molto spesso abbiamo sotto gli occhi, nel sangue, nella pelle, ma che può essere scomoda da vedere.


Per acquistarlo:


Nessun commento:

Posta un commento